Alfonso Lanza Garcia è una delle sei anime che da sempre si occupano e lavorano per il Primavera Sound Festival, il festival musicale europeo più amato dagli italiani. L’abbiamo incontrato a Roma al Circolo degli Artisti, un giovedì pomeriggio, e con lui abbiamo parlato di cosa vuol dire organizzare un evento così grande, delle dinamiche e dei retroscena, e di cosa dobbiamo aspettarci dalla prossima edizione (al solito programmata per fine maggio). Il Primavera Sound, al netto degli hashtag trionfalistici, è diventato col tempo un vero e proprio punto di riferimento per la comunità musicale mondiale. È lì, nell’Olimpo dei festival che contano e che spostano delle cose, con il SXSW, il Sonar, il Coachella e pochi altri. Chi scrive ha cominciato ad andarci quando ancora era una cosa per pochi, ed è proprio da lì che siamo partiti per raccontare un percorso lungo ormai tre lustri.
È la prima volta che vieni a Roma, giusto?
No, no, è la prima volta che vengo qui per promuovere il festival, ma ci sono stato diverse volte a fare il turista, per le vacanze. Come tutti, credo. Invece mi hanno detto che tu vieni al nostro festival da molti anni. Ti ricordi quand’è stata la tua prima volta?
Oddio, abbiamo appena cominciato e già sei tu che fai le domande a me? Va bene: sono stato al Primavera Sound per la prima volta nel 2004, quando la location era ancora diversa da quella di oggi, molto più piccola, e sono rimasto subito colpito dall’atmosfera. E non ho ancora smesso di tornarci…
Te lo chiedevo perché per me non è normale incontrare qualcuno che veniva al Primavera quando nella nostra testa era una cosa interessante solo per la gente di Barcellona, o al massimo per gli altri spagnoli. Posso chiederti cosa ti è piaciuto, al di là delle band che suonavano in quella edizione?
Aspetta, andiamo con ordine: mi pare di capire quindi che quando avete cominciato non avevate l’obiettivo di far diventare il Primavera Sound il festival che è ora, giusto?
Non ne avevamo proprio la minima idea. Siamo partiti nel 2001 perché volevamo fare qualcosa per la nostra città, poi non ci siamo più fermati e la natura del Primavera è effettivamente cambiata anno dopo anno. Pensa che nelle prime otto edizioni siamo sempre andati in perdita, eppure abbiamo continuato a investire e non mollare perché sentivamo di stare diventando un punto di riferimento per la comunità musicale internazionale. Ora, grazie anche al rapporto con Pitchfork o con l’All Tomorrow’s Parties, non è così strano vedere tra il pubblico gente che arriva dagli Stati Uniti, o dall’Australia, ma ti assicuro che per noi è sempre un’emozione fortissima. Credo che il festival abbia dato tantissimo a Barcellona in questi anni, ma so per certo che la città è stata uno dei nostri punti di forza, da subito.
Ecco, la città. Barcellona è sicuramente una risorsa importante, e non è un caso che il Primavera Sound, seguendo l’esempio del Sonar, abbia sempre fatto leva sul suo essere essenzialmente un festival cittadino. Non hai la sensazione di stare in un non luogo, ma in un posto con tanta musica, dentro una città che continua a vivere la sua vita senza avere un atteggiamento passivo nei confronti del festival. Sbaglio?
No, non sbagli. È l’amore per la nostra città che ci ha spinto a creare il Primavera Sound e col tempo abbiamo cercato di coinvolgere sempre di più Barcellona, grazie anche agli eventi gratuiti che avvengono parallelamente a quello che accade dentro il Forum. Per nostra fortuna le istituzioni ci hanno sempre visti di buon occhio: non forniscono nessun contributo economico alla manifestazione, ma ci permettono di utilizzare praticamente gratis una serie di location speciali, mettendo anche a disposizione trasporti e forze dell’ordine. Direi che non ci possiamo lamentare.
In quanti siete a lavorare all’organizzazione del Primavera Sound? Quanto spazio occupa all’interno della vostra vita?
Siamo in sei, ognuno con il suo ruolo. C’è chi si occupa del booking, chi dei rapporti con le istituzioni, e via così. Questo per quanto riguarda la parte puramente organizzativa, durante i giorni del festival diamo lavoro a più di mille persone, di cui molti volontari. Noi sei facciamo tutti altre cose, sempre legate alla musica, ma possiamo dire che lavoriamo a tempo pieno per il Primavera. Di solito cominciamo a organizzare l’edizione successiva mentre ancora non è finita quella in corso.
E qual è il tuo ruolo, nello specifico?
Io mi occupo di marketing e pubblicità, essenzialmente. Interagisco con gli sponsor e pianifico le strategie. Le cose più noiose, insomma.
Parliamo un po’ di marketing, allora. Negli ultimi anni avete investito molto su questo aspetto: penso ai Neutral Milk Hotel, annunciati durante la scorsa edizione sul maxi schermo, oppure al palazzo che avete interamente ricoperto con lo stendardo degli Arcade Fire, per non parlare del film, girato a Detroit, con cui avete svelato il resto della line-up. Roba molto lontana da quello che siamo soliti associare all’immaginario tipico del festival rock e che magari ha anche fatto storcere il naso a qualche purista. Tu che ne dici?
Dico che le cose hanno seguito un’evoluzione e un percorso naturale e che va oltre la normale pianificazione. L’edizione del 2013 è stata la prima in cui abbiamo deciso di provare ad annunciare la line-up organizzando un vero e proprio gala che tutto il mondo poteva seguire via streaming. L’abbiamo fatto prima di tutto per divertimento: volevamo condividere quel momento con le persone che sentiamo vicine, parlo proprio di addetti ai lavori e pubblico locale. Solo che poi mentre eravamo lì, e venivano svelati gli artisti in cartellone, notavamo le reazioni della gente ed era bellissimo. Entusiasmante proprio: compariva un nome e le persone saltavano in piedi, si abbracciavano. La stessa cosa accadeva sui social network: durante il gala abbiamo ricevuto riscontri via Twitter e Facebook che non avevamo mai ricevuto prima. In un certo senso è stato come entrare nelle camerette dei fan del festival. Il nostro è un lavoro che vive molto di entusiasmi, e non puoi capire la carica che ci ha dato questa cosa. Per cui, quando ci siamo resi conto che durante il festival avevamo sempre avuto un paio di nomi già fissati per l’edizione seguente, abbiamo deciso di dirlo a tutti e vedere cosa succedeva. È stata una vittoria anche per quanto riguarda le prevendite, partite il giorno seguente. Tra l’altro, con i Neutral Milk Hotel non avevamo neanche discusso un cachet. Ci hanno solo comunicato che sarebbero andati in tour e che volevano a tutti i costi venire da noi. A quel punto è stato facile. Il film è stata una mezza pazzia, molto stressante: fai conto che dovevamo annunciare la line-up per forza il 28 di gennaio e una settimana prima non solo il film era ancora in alto mare, ma noi non avevamo ancora chiuso delle date. Parlo anche di alcuni headliner. È stata una corsa contro il tempo, ma devo dire che ha funzionato anche in questo caso.
Con che criterio avviene la selezione della line-up? Immagino che dobbiate anche molto fare di necessità virtù…
È chiaro che in qualche modo i gruppi che già sono in tour hanno la strada spianata, ma non è sempre così: se vogliamo qualcuno a tutti i costi facciamo il possibile per poterlo avere, anche se si tratta di qualcuno che parte dagli Stati Uniti, viene a fare il concerto, e due giorni dopo torna a casa. Di base con il nostro cartellone cerchiamo di raccontare una storia, e mettere insieme cose legate da una strana coerenza di fondo, magari una coerenza visibile solo ai nostri occhi e a che non viene compresa dal pubblico. Anche se non credo sia questo il caso. Di solito partiamo dalle reunion, che sono da sempre uno dei tratti distintivi del Primavera Sound, e una volta chiuse quelle ci muoviamo per i gruppi nuovi. E lì viene il bello perché si tratta di mettere insieme band che magari esplodono quando viene annunciato il cast, ma che vengono contattate quando ancora sono piccole. Vogliamo che il Primavera sia unico e che ci siano sempre cose diverse da vedere.
Come gli Shellac?
Grande! Credo che questo sia l’ottavo anno consecutivo che gli Shellac suonano al nostro festival, loro sono la nostra house band! Il gruppo preferito di quattro organizzatori su sei. Con loro non c’è neanche bisogno di mettersi d’accordo: sappiamo che non amano suonare nei festival, dicono di sì solo a noi e all’ATP ed è davvero un onore enorme averli ogni anno.
Beh, poi c’è quel luogo comune che vuole il Primavera Sound come il festival più amato dai musicisti: non sono solo gli Shellac che tornano ogni volta che possono. Mi viene in mente anche Bradford Cox che tra Deerhunter e Atlas Sound raramente salta un’edizione. Qual è il segreto che vi rende così apprezzati da chi viene a suonare da voi?
Credo sia lo stesso motivo per cui anche tu torni ogni anno, no? L’atmosfera, la tranquillità, il fatto che siamo molto ospitali e che permettiamo a chi viene qui per suonare di restare per tutti i giorni che vuole, e godersi tutti i concerti.
Immagino che tu, invece, te lo goda pochissimo il festival, giusto?
Eh sì, se riesco a vedere un concerto su cento è un mezzo miracolo. È anche per questo che da qualche anno abbiamo creato lo spin-off di Oporto. Perché lì noi dell’organizzazione siamo meno coinvolti, possiamo divertirci di più e finalmente ascoltare un po’ di musica. Oporto è una città magnifica, e il festival è praticamente il Primavera delle prime edizioni. Quello di cui ti sei innamorato tu!
Ecco, ti va di spiegarmi com’è nata l’idea di Oporto? Dobbiamo aspettarci altri esperimenti del genere?
Non ci abbiamo pensato troppo in realtà: gli organizzatori dell’Optimus Primavera Sound di Oporto sono dei grandi fan del nostro festival. Venivano e vengono ogni anno: ci siamo conosciuti, siamo diventati amici e quando c’è stata la possibilità loro ci hanno fatto un’offerta che proprio non potevamo rifiutare. E siamo contenti, perché quello di Oporto è proprio il genere di festival che ci piace.
Ma quindi avete in mente di continuare anche in altri paesi, oppure vi fermate qui?
No, non abbiamo in mente un’evoluzione in stile Sonar. Per noi è importante che la gente venga a Barcellona. La nostra priorità è quella. Vogliamo che la gente venga in Spagna e che venga nella nostra città. Per quello non avrebbe senso farne uno qui a Roma, o a Bologna, o in altre parti dell’Europa. Se vogliamo continuare a svilupparci dobbiamo farlo in America. E non ti nascondo che c’è qualcosa in ballo per il Centro o per il Sud America. Città del Messico o Buenos Aires, sono queste le città che ci interessano e in cui forse in futuro faremo qualcosa.
Che impatto ha avuto la crisi economica sul Primavera Sound, vi ha influenzato in qualche modo?
L’impatto è stato devastante sotto ogni punto di vista. Abbiamo visto l’IVA aumentare dall’8 % al 22 % e questo ha strozzato non solo noi, ma chiunque organizzi concerti e altre attività del genere. È banale dirlo, ma è proprio nei periodi di crisi che bisogna sostenere la cultura, ma succede sempre l’esatto contrario. È inutile però che lo dica a te, da italiano capisci benissimo cosa intendo. Noi siamo stati salvati grazie alla credibilità internazionale del festival che è cresciuta al punto che gli agenti di booking si fidano di noi e sanno che siamo seri per quanto riguarda i pagamenti e tutto il resto. Al tempo stesso lottiamo ogni anno per cercare di non aumentare il prezzo per il pubblico e trovare soluzioni che permettano alla gente di continuare a venire al Festival. In questi anni abbiamo investito tutto per rendere il Primavera Sound sempre più confortevole, nonostante l’enorme crescita del pubblico. Dopo un paio di edizioni difficili crediamo di essere riusciti a far tornare il festival vivibile, aumentando lo spazio e riducendo di pochissimo la capienza. Anche per questa edizione ci saranno delle novità interessanti in quel senso, in modo da rendere i vari palchi sempre più confortevoli e funzionali.
A proposito di palchi, qual è il tuo preferito?
Ti dico qual è il tuo, e sicuro è anche il mio: tutti i primaveristi di vecchia data amano il vecchio palco ATP, quella piccola arena con la gradinata da un lato e la collinetta dall’altro. Purtroppo per ragioni di capienza non si può più utilizzare, e lo scorso anno abbiamo scontentato in tanti mettendo l’ATP di fianco al main stage. Quest’anno però abbiamo deciso di renderlo di nuovo uno dei palchi di punta del festival e lo sposteremo al posto del vecchio palco “Primavera”. Mentre i due main stage saranno uno di fronte all’altro e si alterneranno tra di loro. In pratica: chi viene per gli artisti più mainstream avrà un’area da cui è possibile anche non spostarsi mai, mentre gli appassionati di musica più particolare avranno la loro.
Anche quest’anno non mancheranno le band spagnole, immagino…
Certo che no! Per noi è necessario avere tante band spagnole e dare spazio alla musica della nostra nazione. È una delle cose per cui andiamo più fieri. Il Primavera è un festival spagnolo in tutto e per tutto. Anzi, diciamo la verità: è un festival catalano!
Ti posso chiedere qual è l’artista che avete sempre sognato di avere in cartellone, ma che ancora non siete riusciti a portare a Barcellona?
David Bowie. E chi altro? Ogni anno gli facciamo un’offerta. E ogni anno viene rifiutata. Ma ormai comincio a credere sul serio che se tornerà a esibirsi dal vivo lo farà per forza da noi, visto quanto stiamo insistendo!