Allora, semplicemente: provate ad immaginarvi una conferenza stampa in cui Giuseppe Conte dice al Kappa FuturFestival o a Nameless “Ehi, secondo noi e i nostri consulenti a fine agosto la situazione sarà sotto controllo, quindi so che avete già annullato l’edizione di quest’anno ma ci chiediamo di ripensarci. Vi chiediamo di non saltare l’edizione di quest’anno e di svolgerla ad agosto”. Fantascienza, vero? Eppure è quello che sta accadendo in Serbia. E’ quello che la premier serba Ana Brnabic ha appena detto agli organizzatori dell’Exit Festival, durante un incontro a Novi Sad. Or ora. Certo: la situazione epidemiologica lì in Serbia è sempre stata meno drammatica che in Italia (anche se ad un certo punto le misure sono state comunque draconiane, con coprifuoco lunghi un intero weekend e gli anziani obbligati ad andare nei supermercati unicamente tra le quattro e le otto del mattino). E va anche detto che per l’attuale padre-padrone della nazione, Vucic, di cui la premier Brnabic è giusto un’addomesticata estensione, è molto importante dal punto di vista della propaganda dimostrare di aver condotto con mano sicura la nazione nei marosi del CoVid, venendone fuori bene.
Ma sta di fatto che se da noi è già un miracolo che il sindaco di Milano citi Ilario Alicante (per un evento già pensato, organizzato, stabilito), un po’ di centinaia di chilometri più ad est succede che un festival musical è un asset talmente importante, per uno Stato, da essere invitato a svolgersi, a tornare sui suoi passi dopo un rinvio al 2021 già annunciato. Dusan Kovacevic, uno degli organizzatori di Exit, ha risposto in maniera prudente all’invito della premier: “Così come lo conosciamo, coi suoi quaranta palchi e i suoi 55.000 spettatori a sera, l’Exit tornerà probabilmente solo nel 2021, non prima. Ma siamo molto lieti di sentire dal nostro primo ministro l’invito a pensare di comunque di organizzare una edizione 2020, e la rassicurazione sul fatto che, secondo le loro previsioni, per agosto 2020 la pandemia in gran parte del continente europeo – visto che il nostro pubblico arriva da tutta Europa – sarà sotto controllo”.
Ora: l’Exit non può essere considerato un “cagnolino” nella mani delle istituzioni serbe, pronto a farsi usare per questioni di propaganda (pure un po’ suicida); per chi non lo sapesse, il festival di Novi Sad nasce proprio come durissima opposizione al regime di Milosevic, e questa opposizione-nel-DNA è stata pagata negli anni anche con accuse e pretestuose carcerazioni temporanee ai danni di alcuni dei fondatori. Chiaro, Milosevic non c’è più, sotto Vucic la situazione è (un po’ più) democratica, ma per come conosciamo il festival dubitiamo che si facciano manovrare dalla grandi manovre di propaganda decise ai piani alti di Belgrado. E’ quindi un primo segnale di speranza e di apertura, dopo una lunga, lunghissima teoria di chiusure, cancellazioni, rimandi al 2021.
Nessuno può sapere quale sarà lo sviluppo e/o la ritirata della pandemia. Ma dovendo scegliere tra gli slogan di Assomusica, che racchiudono (anche) i big player del mercato nazionale, e quanto appena annunciato dall’Exit, beh, saremo sinceri, optiamo per quest’ultima cosa. Ci sembra infatti un po’ peloso o perlomeno parziale l’annuncio di Assomusica che “tutto è spostato al 2021”, non ci ha lasciato un bel sapore in bocca: perché se sei un big player del settore, puoi anche aspettare tranquillamente il 2021. Anzi, diciamola tutta, puoi anche sperare che qualche realtà più piccola e meno attrezzata scoppi, nel frattempo, e si levi dalle scatole, rendendo il mercato nazionale sempre più terra di conquista per i pesci grossi. Le istituzioni, pur con la necessaria ed obbligatoria prudenza, dovrebbero però sempre e comunque pensare a quando far ripartire il prima possibile le cose, per il bene collettivo (economico e sociale, attenzione: non solo economico).
In tal senso, è vero che nel DPCM ultimo la ripresa dei concerti per il 15 giugno è condizionata a richieste draconiane, se non assurde: ma intanto è qualcosa. E se è vero che alle condizioni che ci sono state finora un concerto da 1000 persone semplicemente non sta in piedi economicamente ed è infattibile (tra spese strutturali per sicurezza&sanificazione e il divieto di fare attività bar), è altrettanto vero che la chiave di questa frase è “alle condizioni che ci sono state finora”. Come mai vengono date per scontate, inevitabili? Perché in realtà è possibile fare concerti anche senza una quindicina (o una trentina, o un centinaio…) di persone in produzione, anche senza luci speciali, anche senza cachet fissati secondo le regole di mercato pre-Covid. E’ quasi impossibile, oggi? Forse. Ma intanto è possibile. E con un po’ di intelligenza ed umiltà da parte di tutti, potrebbe diventare ancora più possibile. Anche perché, al di là di tutto, intanto è un modo di pensare a far ripartire, piano piano e con prudenza, la macchina. Con la possibilità, anzi, con la necessità di aprire di più o ribloccare tutto, a seconda dell’andamento della pandemia (e qui entra in campo l’importanza fondamentale di tracciare ogni minuti secondo l’andamento dei contagi e dei ricoveri negli ospedali; magari senza regalare e relegare tutto alla sanità privata, come invece il sempre brillante duo Fontana-Gallera pensa di fare nella regione più colpita di tutte, la Lombardia).