Per una volta – ma in effetti già in altre occasioni Draghi aveva optato per il “rischio calcolato“ visto dai più prudenti come fuga in avanti – il Governo ci ha sorpreso. Ha preso i suggerimenti del CTS per le riaperture delle discoteche (…e anche dei concerti dal vivo in piedi? Non è ancora chiaro) e li ha portati al rialzo. Da oggi lunedì 11 ottobre si potrà tornare a ballare senza più commettere un atto illegale nel farlo, per giunta senza portare la mascherina mascherina (almeno sulla pista da ballo, a norma di legge): tutto questo non al 35% delle capienze inizialmente prospettato appunto dal CTS, ma al 50%. Evitiamo di considerare il 75% della capienza outdoor: perché il ballo outdoor a metà ottobre non è propriamente un’opzione per tutti, tanto per usare un eufemismo.
Allora, vediamo un po’. Siamo ancora indietro alla stragrande maggioranza dei paesi europei, pur avendo un’alta percentuale di vaccinati e dei dati pandemici al momento sotto controllo come e più che in altre nazioni: vero, innegabile. E problematico. Tuttavia mantenere un minimo di prudenza può avere il suo perché: chi la prudenza nei mesi passati non l’ha avuta, come ad esempio la Serbia (che pur essendo piena di vaccini deve fare i conti con un prevalente sentimento no-vax in patria, i vaccinati sono al momento solo il 40%, la metà che in Italia), in queste settimane sta affrontando una situazione drammatica. La media lì è di 6/7000 nuovi contagi al giorno, con ormai quasi 300 persone in terapia intensiva. Per capire la gravità del tutto, basta che moltiplichiate questi numeri per dieci e li applichiate sull’Italia: la popolazione della Serbia è infatti circa un decimo di quella italiana. Ergo: con 60/70.000 nuovi contagi al giorno e 3000 persone in terapia intensiva saremmo nel panico, in Italia, e giustamente; ma aggiungiamo che il numero di tamponi giornaliero effettuato in Serbia è bassissimo, quindi i dati quasi sicuramente andrebbero rivisti al rialzo.
Lo sappiamo (e lo abbiamo scritto nero su bianco) che gli assembramenti per lo scudetto dell’Inter o i concerti di Salmo non hanno portato al dramma ed all’apocalisse. Siamo convinti che la posizione troppo prudenziale di Speranza non sia stata la scelta migliore, o almeno la più coraggiosa (e di coraggio ce n’è bisogno). Abbiamo più volte sottolineato come già nel 2020, il famigerato 2020, alcune regioni “aperturiste” (Emilia, Puglia) non abbiano avuto situazioni peggiori di altre; così come non ci siamo mai tirati indietro nel dire in generale che una nazione che sacrifica il divertimento e la socialità per salvaguardare invece l’andare al lavoro pigiati come sardine sui mezzi pubblici, quello e solo quello, non è una nazione lungimirante. Ma dire tutto questo non significa essere imprudenti, aperturisti ad oltranza, sostenitori del fatto che il virus non esiste o non sia un pericolo significativo. E’ questione di equilibri: il Coronavirus è imprevedibile nella sua evoluzione, ancora oggi non è chiaro perché in alcuni casi si propaghi e in altri no, le incognite sono ancora mille. Si va a tentoni. Cercando di trovare il giusto – e continuamente mutevole – equilibrio fra prudenza e necessità invece di (ri)prendersi la vita così come la conosciamo, così come la vogliamo.
In Italia si continua a pensare, tra troppe persone e in troppi contesti, che rispettare le leggi sia da scemi e che trovare il modo di ingannarle sia al contrario roba da eroi. Non è un bello spettacolo che da noi sia stato formalmente vietato ballare, ma che parecchio si sia ballato quest’estate e in realtà anche in queste settimane – pure in luoghi al chiuso, pure in club ben noti a tutti voi che ci leggete qui
Siamo consapevoli anche di un’altra cosa: in Italia si continua a pensare, tra troppe persone e in troppi contesti, che rispettare le leggi sia da scemi e che trovare il modo di ingannarle sia al contrario roba da eroi. Non è un bello spettacolo che da noi sia stato formalmente vietato ballare, ma che parecchio si sia ballato quest’estate e in realtà anche in queste settimane – pure in luoghi al chiuso, pure in club ben noti a tutti voi che ci leggete qui, tanto per non girarci attorno. Non siamo Selvaggia Lucarelli: non faremo gli sceriffi del web, non faremo le spie 2.0. Ma sappiamo bene che sono decine, anzi, centinaia i casi nel weekend di regole bellamente non rispettate o raggirate. Centinaia. E sfrontatamente. Lo sa anche il Governo: che è esattamente il motivo per cui segue quasi sempre una linea fortemente legata alla prudenza, ed a restrizioni probabilmente più pesanti del necessario, quando c’è il ballo di mezzo. Siamo alle solite: per la furbizia di pochi, la prendono nel culo molti – quelli che hanno il poetico vezzo di voler rispettare le regole per senso di onestà.
Non ci sono piaciuti nemmeno le disperazioni e i tragici lamenti sul 35% inizialmente prospettato dal CTS. Attenzione: siamo talmente consapevoli che il 35% sia una soglia bassissima da aver lanciato, qualche giorno fa, una proposta da “situazione d’emergenza”: perché lavorare con quella capienza è a tutti gli effetti una emergenza, o addirittura per qualcuno una impossibilità. Ma se il mondo del clubbing italiano non è più in grado di fare party per 100/150 persone e riesce ad immaginarsi solo quelli con 500 o 1000 o 3000, allora i casi sono due: o ha completamente perso la capacità di reinventarsi ed adeguarsi a condizioni diverse, diventando un dinosauro sclerotico e non più quella unit di creatività, atipicità ed innovazione che era in origine; o si vede attivo solo quando ha la prospettiva di guadagnarci parecchio, altrimenti pensa non ne valga la pena. Se per caso è la seconda, beh, non si è molto diversi dalle major del mainstream da cui si dice di essere differenti – sì, quelle rispetto a cui si dice di essere più nobili, appassionati, underground. Attributi che ci si dà in realtà solo per smazzare più biglietti all’ingresso costi quel che costi, perché in realtà non li si posseggono davvero, o non li si posseggono più. Vedete un po’ voi come stanno le cose, va’. Ma a forza di fare i furbi e giocare su più tavoli, underground di facciata ma commerciali per convenienza, qualora non ve ne foste accorti già prima della pandemia la gente stava progressivamente abbandonando il clubbing per darsi ad altro, fosse pure Netflix o DAZN. Il divertimento lo trovi ovunque, la socialità e il senso di comunità li devi costruire. Ma quando ci riesci, sono loro che ti fanno fare il salto di qualità.
Se il mondo del clubbing italiano non è più in grado di fare party per 100/150 persone e riesce ad immaginarsi solo quelli con 500 o 1000 o 3000, allora i casi sono due: o ha completamente perso la capacità di reinventarsi ed adeguarsi a condizioni diverse, diventando un dinosauro sclerotico e non più quella unit di creatività, atipicità ed innovazione che era in origine; o si vede attivo solo quando ha la prospettiva di guadagnarci parecchio, altrimenti pensa non ne valga la pena
Ma proseguiamo. I furbi poi lo si è fatti per anni su un’altra questione: le capienze. Ora i nodi vengono al pettine. Sì: la legislazione italiana è perfino troppo protezionistica e maniacale per quanto riguarda la sicurezza, l’abbiamo detto più volte che fosse per le leggi italiane il Berghain verrebbe chiuso in cinque secondi e Ibiza tutta pure. Corollario di tutto questo, è che le capienze legali di casa nostra sono ridicole, o comunque completamente inadeguate rispetto alla reale fruibilità dei luoghi. Indiscutibile. Ad un certo punto però la cosa è andata tacitamente bene a tutti: alla stragrande maggioranza dei locali, che abbandonavano in partenza l’idea di mettersi in regola perché sarebbe stato impossibile e, in caso, troppo costoso; pure alle autorità, che così avevano una fantastica arma di ricatto per cui finché non rompi i coglioni ti lascio lavorare, appena qualcosa mi innervosisce ho la scusa per chiuderti o importi dei lavori di ristrutturazione inaffrontabili, quindi insomma, alla fine il pallino ce l’ho io. D’altro canto in una nazione che considera le discoteche ancora un problema di ordine pubblico da perimetrare con una legge creata durante il ventennio fascista, non è che puoi aspettarti molto altro, no?
Ma contro questo bisognava combattere. Contro le capienza legali assurde bisognava, già da decenni, fare una protesta seria ed unitaria. Non lo si è mai fatto: si era troppo occupati a fatturare e guadagnare (…per anni pure in nero, diciamolo – un motivo in più per non fare casino con le istituzioni, vero?).
Ora però improvvisamente si dice “Eh, ma il 50% è nulla, perché calcolato sulle capienze legali” (qualsiasi parametro si adotti, che sia l’affollamento o la capacità di deflusso). Ma dai? Si scoperchia il vaso di Pandora delle capienze legali che mai sono state rispettate, mai!, e dei costi operativi – fissi e variabili – che sono stati da sempre tarati su quanta gente può entrare nel posto davvero, magari anche stipandolo un po’ tipo carro bestiame, e non su quanta potrebbe entrarci invece per legge. Una furberia storica dei locali di casa nostra che ora improvvisamente fa pagare dazio. Beh, sarà antipatico dirlo ma: ci si poteva pensare prima. Invece di considerarla l’ennesima legge stupida, quindi da non rispettare.
Ci vuole un cambio di passo.
Sogniamo un’Italia di discoteche e club che lotta per ottenere dei perimetri legislativi sulla sicurezza logistica sensati, e una volta che li ha li rispetta. Sogniamo una collaborazione con le istituzioni e le forze pubbliche di sicurezza che non sia basata sul “Se fai il bravo, ti lascio in pace, anche se so che non sei del tutto in regola ma si sa, voi della notte siete così“. Sogniamo che ora che finalmente c’è dopo venti mesi una riapertura legale al ballo non ci sia subito una corsa di tutti a recuperare in poche settimane costi quel che costi il fatturato perduto costi, ma si dia invece grande attenzione a mantenere un afflusso decente e non eccessivo, perché la cazzo di emergenza sanitaria non è ancora del tutto finita. E sogniamo anche che si capisca finalmente che il modello dell’intrattenimento danceflooriano in Italia era in crisi anche prima della pandemia, e quindi questa ripartenza è l’occasione migliore per pensare a modelli nuovi: visto che i vecchi erano sempre più costosi, sempre più ripetitivi&prevedibili e sempre meno redditizi.
Nello specifico, andando nel concreto per vari punti: se questo inaspettato regalo del 50% al posto del 35 viene interpretato come un “Liberi tutti!“, se si riapre alla cazzo, se le agenzie di booking tornano a proporre dj a prezzi pre-pandemici, se i club tornano a prendere i suddetti dj solo per dimostrare di avercelo più lungo con la scusa de “Eh ma la gente vuole questo“, se non ci si convince che il divertimento è socialità e qualità della vita e non solo un’occasione per spremere le finanze del consumatore, ecco, se tutto questo succede Draghi può anche ridarvelo e ridarcelo, il ballo; ma tanto comunque siete, e siamo, destinati alla progressiva estinzione, prigionieri di un sistema malato e claudicante anche prima del Covid e dei venti mesi di serrata; sistema che, però, non vuole ammettere di essere tale, non vole ammettere di essere messo così male. Dovrebbe anche far riflettere un’altra cosa: ovvero che l’altra categoria falcidiata dai divieti pandemici, quella della musica live non-da-seduti, comunque in questi anni si è dimostrata molto più attenta alle regole, molto più rispettosa del pubblico e della qualità dell’esperienza offerta: probabilmente non è un caso che nell’ultimo decennio la gente in discoteca ci va complessivamente sempre meno, ai concerti dal vivo sempre di più. Ecco, sarebbe il caso di prendere coscienza di tutti questi aspetti.
Il modello dell’intrattenimento danceflooriano in Italia era in crisi anche prima della pandemia, questa ripartenza è l’occasione migliore per pensare a modelli nuovi: visto che i vecchi erano sempre più costosi, sempre più ripetitivi&prevedibili e sempre meno redditizi
Onestamente? I primi segnali non sono incoraggianti, a leggere i vari scambi d’opinione tra addetti al settore.
…intanto però salutiamo almeno il ritorno del ballo come atto non più illegale, via, questa è comunque una bella notizia: evviva, evviva. Ma non basta. Eccome se non basta. Vogliamo di più dal Governo, col 100% della capienza a fronte di ingresso con Green Pass; ma vogliamo di più dal nostro settore. Settore che se vuole finalmente essere un interlocutore credibile per le istituzioni da un lato e un polo di nuovo vivo, innovativo ed attraente per il pubblico dall’altro, deve cambiare molte, molte, molte cose.
Molte.
E’ pronto a farlo? E’ consapevole di doverlo fare? O pensa solo ad aggirare questo prime limite del 50%, per poter tornare a fatturare?