Un tempo si diceva (e lo dicevamo pure noi): Club To Club è un leader vero tra i festival italiani. Da un lato lo è ancora: per capacità di crearsi un’identità, per rilevanza sul campo europeo, per il rapporto di fiducia ed entusiasmo reciproci che tesse col suo pubblico – oltre che ovviamente per i numeri, che sono da anni a livello altissimo. Dall’altro, riesce ad essere ormai ancora di più, ancora meglio: ormai è diventato una categoria a parte, “a class of its own”. Impresa che riesce davvero a pochi, soprattutto in questi anni in cui i festival non di nicchia tendono (devono tendere) tutti ad assomigliarsi un po’ fra di loro. Il percorso di “personalizzazione” di Club To Club – da sempre nel suo DNA grazie ad una guida artistica precisa, ma che ha avuto una forte accelerazione da qualche anno a questa parte – in questa edizione sta poi raggiungendo il massimo.
Del fatto di ospitare la monumentale operazione “catalogo” dei Kraftwerk (tutta la loro carriera, spalmata su quattro concerti consecutivi) si è già parlato tanto. Così come si è parlato tanto di Jaar e di Arca (nomi legati a doppio filo a C2C, ormai), o del fatto di spostarsi per quanto riguarda gli headliner anche su rotte più black / nu jazz – rassicurati in tal senso anche dagli ottimi risultati di Jazz:Re:Found da quando si è trasferito a Torino – con headliner come Kamasi Washington e Bonobo. Quest’ultima è una scelta non scontata per quello che nasce, nei fatti ma anche nell’immaginario collettivo, come “festival di musica elettronica”. Così come non sono scontate un sacco di scelte operate nel campo della musica digitale, con artisti che proprio Club To Club ha contribuito a rendere popolari, “portandoli fuori” dalle cerchie più sotterranee e specializzate rendendoli più appetibili (e desiderabili) per un pubblico più vasto: e questa è una cosa a dir poco meritoria.
Anche la nuova ondata di aggiornamenti in line up, uscita ieri, offre traiettorie non convenzionali. Se The Black Madonna è ormai una presenza prevedibile (ma sempre gradita) in una line up di un festival dove l’afflueza è a migliaia e migliaia, non si può dire lo stesso di Demdike Stare (bravissimi già a Dancity qualche settimana fa) o di Laurel Halo, esattamente come per gli Amnesia Scanner, Jlin o Ben Frost già annunciati. Poi c’è pure il lavoro sulla scena italiana: Mana è di casa, certo, ma nel frattempo è cresciuto tanto da essere messo sotto contratto dalla Hyperdub di Kode9 (lui peraltro una presenza storica del festival); bellissimo l’aver messo in line up Gabber Eleganza (amiamo Pigro On Sofa e tutto quello che fa, da sempre, è bellissimo abbia avuto questo riconoscimento), molto interessante anche la presenza di Liberato – che se al Mi Ami può aver fatto la “trollata” strappando anche un sorriso, ora a C2C deve dimostrare di essere un progetto solido e non più un fuoco effimero lungo un paio di pezzi ben fatti e per il resto solo situazionismo pronto uso. Altre schegge decisamente interessanti nell’annuncio di ieri sono ArteTetra (un progetto exotico-psichedelico-folle nato nelle Marche) e Yves Tumor (performer misterioso ed abrasivo, non uno che lascia indifferenti).
Insomma: alla crescita della fama, della popolarità e della conseguente responsabilità, Club To Club risponde ponendo ancora più accento sulla propria particolarità, sulla voglia di qualificarsi e differenziarsi rispetto al grande e collaudato circuito dei “festival di musica elettronica dance”; circuito, sia chiaro, con una sua fondamentale importanza e ragione (e felicità) d’essere, come raccontavamo pochi giorni fa nel caso di un altro grande evento torinese, il Kappa FuturFestival. Sta di fatto che lo stesso artista al Movement sarebbe visto come una presenza “normale” (e infatti lì ha fatto uno dei migliori show italiani degli ultimi anni), a Club To Club quasi ormai come un’eccezione – parliamo di Richie Hawtin, l’unico headlinder prettamente techno di quest’anno a C2C.
Anzi, ecco, fateci fare un’ultima sottolineatura al volo: esattamente come a Barcellona Sónar e Primavera hanno imparato a convivere, limitando al minimo possibile le battaglie fra di loro differenziando la propria ragione sociale, lo stesso sta succedendo a Torino, con Movement e Club To Club a pochi giorni di distanza tra di loro entrambi in grande salute (e col Kappa FuturFestival che, in estate, la fa da mattatore), senza contare il già citato caso del fortunato spostamento nella capitale sabauda di Jazz:Re:Found. Un caso molto interessante, da cui si dovrebbe imparare. Torino sta mettendo in pratica in campo culturale/musicale la lezione della “economia dei distretti”, che per molto tempo ha fatto la fortuna dell’industria italiana. Non è “l’unione fa la forza”, occhio, perché la competizione resta competizione: ma sviluppare una rete di eventi di qualità, dove si pensa a fare bene il proprio lavoro e dove soprattutto la vicinanza – geografica e temporale – di un competitor è vista come uno stimolo e una risorsa e non come una iattura da combattere con ogni mezzo, è una pratica virtuosa. Per tutti.